Una raccolta di articoli e approfondimenti per il tuo benessere psicologico
Le ferite del passato, i conti in sospeso, le situazioni aperte portano via parte della nostra vitalità, della nostra energia impedendoci di essere pienamente nel presente.
Diventa importante chiudere le ferite del passato e farle diventare cicatrici...perché le ferite sanguinano ancora e ci fanno ancora male, mentre le cicatrici ci ricordano quanto è successo ma non ci indeboliscono nel presente.
È vero quanto accaduto nel passato non si può cambiare, ma possiamo lavorare sul ricordo e sul vissuto legati a quella circostanza, a quegli eventi di vita o a quei fatti che ancora adesso provocano difficoltà in noi.
Per alcuni un evento successo tempo fa, a volte anche diversi anni fa, è ancora così vivo da far male nel presente causando ancora tanta sofferenza, vergogna, paura o rabbia provocando anche spiacevoli sensazioni come: lo stomaco che si chiude o un forte nodo in gola o il ritrovarsi a piangere.
Questo fa capire che bisogna intervenire per far si che quanto successo trovi un posto nel passato, collocandosi nella storia della persona, senza condizionare negativamente e in modo pesante il qui e ora.
Si dice che il passato è passato...ma la cosa importante è lasciare il passato nel passato e questo accade se prendiamo coscienza delle esperienze negative, che sono racchiuse e cristallizzate nella nostra memoria, esperienze passate che ci hanno fatto sentire inadeguati, umiliati, in colpa insomma che non andavamo bene…che eravamo sbagliati.
Se non prendiamo questa consapevolezza accade che ci troviamo in crisi quando dobbiamo adesso affrontare delle situazioni…succede che ci troviamo spesso in difficoltà nei rapporti interpersonali sentendoci in una condizione di impotenza e di vulnerabilità catapultati in un attimo dentro a stati d'animo negativi che inevitabilmente portano a rimanere bloccati o ad avere reazioni che non favoriscono di certo il nostro star bene.
Per uscire da queste condizioni di disagio, e superare gli ostacoli interiori che impediscono la nostra crescita personale, è importante e prezioso un lavoro interiore per andare a sciogliere i blocchi emotivi.
Le emozioni imprigionate legate a ricordi rimossi sono la causa di tanti problemi…ciò che è in prigione va liberato!
Non lasciamo che il nostro vivere vada avanti in automatico, rassegnandoci e sopravvivendo...ma prendiamo in mano la nostra vita e per farlo bisogna andare alla radice per curare e chiudere le vecchie ferite così da impedire che interferiscano pesantemente sulla nostra vita presente…questa neutralizzazione ci permette di poter vivere in linea con quanto è importante per noi adesso.
L’ansia sociale è caratterizzata da un forte disagio che la persona vive quando è esposta...
A situazioni sociali come parlare in pubblico, conoscere nuove persone, interagire e confrontarsi con altri in vari contesti… chi soffre di questo disturbo può trovare difficoltà anche nel bere e mangiare quando è con gli altri, perché si sente continuamente giudicato anche nel suo comportarsi.
Insomma, per una persona che soffre di ansia sociale vivere le situazioni più comuni del quotidiano insieme agli altri può diventare estremamente difficile.
L’aspetto centrale della fobia sociale è la paura del giudizio negativo degli altri: “chissà cosa stanno pensando su di me?”, “si stanno accorgendo che io non sto bene?”.
Chi ne soffre ha il timore di agire in modo imbarazzante, ridicolo, di fare brutta figura di fronte alle persone ed è preoccupato che mostrando la propria ansia davanti agli altri verrà considerato un incapace e inadeguato, con conseguente giudizio negativo.
Insieme ai vissuti psicologici, molte sono le manifestazioni fisiche che si possono manifestare in chi soffre di questo disturbo quando è in una situazione sociale: una forte sudorazione, il battito del cuore accelerato, rossore nel viso, tensione muscolare, tremori alla voce, mani sudate, tic nervosi, cefalee, disturbi dell’apparato gastro-intestinale, problemi nell’attenzione e irrequietezza.
Tutto questo è sostenuto da cause psicologiche riconducibili ad una forma di “giudizio interiore critico”, che con la sua azione fa sentire la persona sempre al centro dell’attenzione, portandola a stati d’animo negativi pieni di vergogna: si sente inadeguata, insicura, sbagliata, non si sente all’altezza… incapace di fare quello che gli altri fanno normalmente.
Come conseguenza, la persona tende a mettere in atto tutta una serie di strategie di controllo e di evitamento per non esporsi a quelle situazioni sociali che sono viste come potenziali occasioni di giudizio negativo da parte degli altri e che potrebbero scatenare un’ansia acuta.
In molti casi la persona riduce il proprio raggio d’azione, con un conseguente progressivo isolamento.
Anche l’ansia anticipatoria ha un ruolo pesante nel mettere in difficoltà l’individuo: solo a pensare ad una situazione che dovrà affrontare, sperimenta un’ansia elevata. Questa intensa preoccupazione si può far sentire giorni e a volte anche mesi prima di un certo avvenimento, interferendo fortemente nella vita quotidiana della persona e condizionandone negativamente la qualità della propria vita.
Chi vive questo disagio riconosce a mente fredda l’aspetto eccessivo e irragionevole di tali pensieri e comportamenti, ma questo invece di aiutarlo lo fa sentire ancora di più incapace, in quanto si rende conto che ha come soluzione solo strategie che lo portano ad evitare le situazioni.
Quindi la consapevolezza dell’irrazionalità delle sue idee non lo aiuta; anzi, lo fa scendere ancora di più nella spirale negativa e fortemente invalidante causata dall’ansia sociale.
Importante analizzare le convinzioni che la persona ha su di sé e sugli altri, esplorare le emozioni che vive, recuperare le esperienze difficili vissute in ambito familiare (es. clima in famiglia rigido o iperprotettivo) e sociale (esperienze negative) nei vari passaggi delicati della vita.
Questo prendere consapevolezza e rielaborare il passato diventa fondamentale perché certi modi di vedersi sono vecchi, inutili e distorti.
Questo permette alla persona di togliersi le maschere che ha indossato per cercare di essere accettata dagli altri, per cercare l’approvazione degli altri. Solo questo smascheramento può portare ad iniziare a vivere la vita esprimendo la propria vera identità, per interrompere la supremazia del giudizio degli altri che ha portato all’annullamento della propria identità.
E quindi essere in contatto con se stessi, con i propri valori e con i propri obiettivi, e non in balia degli altri. Da qui ripartire per ricostruire la propria autostima, per vivere liberamente la propria vita.
Il disturbo ossessivo compulsivo (D.O.C.) è caratterizzato dalla presenza di ossessioni e di compulsioni che condizionano pesantemente la quotidianità di chi ne soffre...
La vita diventa un dramma per la persona e per chi le vive accanto.
Vediamo i due aspetti che contraddistinguono il disturbo ossessivo compulsivo: le ossessioni e le compulsioni.
Le ossessioni sono immagini mentali, impulsi, idee, pensieri intrusivi e ricorrenti che mettono in forte difficoltà la persona che non riesce ad opporsi, a contrastarli, a dargli il giusto peso.
Questi pensieri ossessivi occupano un tempo significativo, quasi totale, di ogni giornata, rubando lo spazio vitale alla persona.
La mente di chi soffre del disturbo ossessivo compulsivo è occupata dal peso di questi contenuti mentali (pensieri, immagini, idee) che fanno sentire la persona sbagliata, incapace… tutto questo la fa vivere in una condizione di profonda tensione e insicurezza.
Nella realtà, ad ognuno di noi capita di fare dei pensieri strani o bizzarri, solo che chi soffre di disturbo ossessivo compulsivo non riesce a vedere che il pensiero è solo un pensiero e non rappresenta se stesso, e quindi si fa travolgere e assorbire in stati d’animo negativi e pieni d’angoscia.
Le compulsioni, invece, sono dei rituali, delle azioni, delle pratiche senza senso ed eccessive che la persona sente di dover compiere più volte per tentare di diminuire la tensione generata dalle ossessioni… ma nella realtà tale ipotetico sollievo non c’è o dura pochissimo.
Il disturbo ossessivo compulsivo può manifestarsi in diverse tipologie di pratiche ossessive: di controllo, di contaminazione, di ordine e simmetria, di marcata superstizione, e le ossessioni possono essere anche aggressive o autolesive.
La trappola delle compulsioni, cioè il dedicare sempre più tempo ai rituali, porta chi ne soffre a costruire percorsi di evitamento dalle varie situazioni della vita, che lo possono condurre verso gravi conseguenze come la perdita del lavoro, il rovinare relazioni affettive o di amicizia… portandolo verso un isolamento pericoloso.
Per chi vive accanto a una persona affetta da questo disturbo è prima di tutto essenziale essere a conoscenza delle caratteristiche del disagio e quindi informarsi bene; poi è importante non colpevolizzare, avere pazienza e comprensione, e non sempre ci si riesce, con il proprio familiare.
Non bisogna pretendere che con la volontà interrompa o si renda conto dell’irrazionalità delle ossessioni, in quanto non è in grado di farlo.
Altro aspetto importante è far sentire con empatia che si capisce quanto sta soffrendo e, ultima cosa, favorire la decisione di farsi aiutare.
La psicoterapia è il metodo elettivo per il trattamento e la cura di questo disturbo… per esplorare i conflitti interni, per permettere alla persona di arrivare a dare il giusto peso ai pensieri, per acquisire capacità per padroneggiare i contenuti mentali, per interrompere il circolo vizioso che continua a mantenere questo tipo di disagio che fa vivere, a chi ne è colpito e non solo, una vita d’inferno.
"Sogna perché nel sogno puoi trovare quello che il giorno non ti può dare" recita un aforisma di Jim Morison. Il sogno, sin dall'antichità, ha affascinato popoli e culture,
I sogni erano visti come dei messaggi divini e solo stregoni ed indovini erano ritenuti capaci di interpretarli.
Nell’antica Grecia si riteneva che durante la notte il dio Morfeo arrivava con le sue grandi ali, che battevano senza far rumore, ad arricchire con simboli e immagini la vita onirica di ogni persona, portando dei messaggi misteriosi da un altro mondo.
Un passaggio importante nella storia del sogno avviene nel 1899, quando Sigmund Freud scrive "L'interpretazione dei sogni".
In questo trattato, l'inventore della psicanalisi indica che il sogno è l'appagamento di un desiderio inconscio rimosso e che quando alla notte si allentano i freni inibitori, ecco che ci permettiamo di desiderare.
Il sogno ci appare in modo bizzarro, assurdo e stravagante, pieno di simboli e metafore che mascherano: questo è definito da Freud il contenuto manifesto, ma l'essenza da cogliere è nel contenuto latente, che va esplorato per poter arrivare ai significati nascosti.
Il regista Ingmar Bergman disse del sogno: "Il sogno può attivare l'intelletto... può offrire nuovi pensieri... un nuovo modo di pensare e di sentire... può gettare una nuova luce sul nostro paesaggio interiore. Perciò un sogno ci può offrire un altro punto di vista su un progetto sul quale stiamo lavorando o fornirci una nuova idea."
Molti personaggi famosi hanno affermato di essersi ispirati per creare le loro opere geniali ad un sogno.
Tra i tanti casi famosi possiamo citare: il chimico tedesco August Kekulé che in sogno arrivò alla struttura molecolare del benzene a cui stava lavorando da molto tempo; Otto Loewi, fisiologo tedesco, che attraverso un sogno individuò il meccanismo di trasmissione degli impulsi nervosi, rivoluzionando la neurologia e questa scoperta gli valse il premio Nobel; Giuseppe Tartini, compositore e violinista, che narrò d'aver concepito la sua opera più famosa "Il trillo del diavolo" grazie ad un sogno in cui gli era apparso il diavolo che aveva eseguito una musica di sovrumana bellezza.
I sogni ci offrono, dunque, un materiale speciale e interessante, in quanto il produttore è la nostra parte più profonda, quindi attraverso un sogno abbiamo la possibilità di conoscere meglio noi stessi.
È importante sottolineare che questa conoscenza non avviene, come comunemente spesso si intende, attraverso una correlazione stretta e rigida tra immagini oniriche e significati, ma va ricondotta alla storia passata e all'attuale contesto di vita presente del singolo individuo.
Pertanto non esiste un'unica chiave di lettura nel legame simbolo-significato: ad esempio, sognare un leone può avere risonanze diverse per ogni persona.
Questo richiede un atteggiamento di interesse e ascolto dei nostri sogni, che, essendo l'espressione della parte più intima di noi, ci possono evidenziare aspetti importanti che stiamo tralasciando nel nostro attuale momento di vita.
La fame nervosa o fame emotiva non è un naturale bisogno del nostro organismo...
Che soddisfa la sana necessità di essere alimentato, ma ha una funzione compensatoria e anestetizzante di certi stati d’animo spiacevoli e negativi… stati d’animo spesso contraddistinti da rabbia, da insoddisfazione, da ansia, da tristezza, da stress… principalmente per riempire dei vuoti.
Ma sappiamo bene che surrogare, il sostituire con qualcos’altro (cibo) ciò che invece vuoi (desideri), non fa star bene.
La fame nervosa cerca di riempire le carenze spingendoti a mangiare per soddisfare il tuo bisogno di gratificazione.
In quei momenti ti prende un’inquietudine, un nervosismo, una smania… è come se perdessi il controllo e il cibo assume un valore simbolico così potente con lo scopo esclusivo di zittire il malessere che provi dentro.
Ma è una modalità che non solo non risolve le difficoltà, ma anzi aggiunge disagio sul disagio… perché subito dopo provi rabbia e frustrazione nei tuoi confronti per esserci cascato un’altra volta.
Questo comporta autosvalutazione, colpa, vergogna con una perdita di autostima.
Cercare di interrompere con la volontà lo schema comportamentale che si sta mettendo in atto non ha molta efficacia, perché imporsi di non avere quel comportamento può funzionare qualche volta ma è destinato a fallire in quanto non c’è un ascolto profondo di te.
È come se ci fosse un rifiuto a sentire e ad accogliere il significato di quelle emozioni e di certi stati d’animo… è come se rinnegassi e rifiutassi una tua parte che vuole essere capita e ascoltata.
La svolta avviene nel prendere piena consapevolezza delle emozioni che causano e innescano la fame nervosa; è importante esplorare cosa stai facendo o cosa non stai facendo nella tua vita… quanta libertà hai o quanto ti senti in una gabbia.
Quello di cui abbiamo bisogno per star bene è alimentare in modo sano il nostro corpo, ma anche dare nutrimento alla nostra anima.
È nell’esperienza comune a tutti noi sperimentare dei momenti alti e bassi del tono dell'umore...
Ma per chi soffre di disturbo bipolare le oscillazioni improvvise dell'umore sono motivo di profondo disagio, in quanto si presentano in maniera imprevedibile e con un'intensità elevata comportando pesanti ricadute nella vita quotidiana.
Il disturbo bipolare è caratterizzato da un alternarsi di fasi di esagerata esaltazione, dove la persona si sente euforica e piena di energia (fase maniacale del disturbo), a fasi di profonda tristezza (fase depressiva del disagio) nelle quali il soggetto è immerso esclusivamente in pensieri ed emozioni negative.
L'iperattività e l’enorme voglia di fare della fase maniacale possono sembrare positive, ma di fatto non lo sono perché questa fase di eccitazione e per certi aspetti di piacere è seguita da una fase a picco dove la persona sprofonda nella più cupa paura e disperazione.
L’umore va quindi prima tanto su e subito dopo tanto giù: ecco da dove nasce il termine bipolare. Vediamo le caratteristiche di queste due polarità.
L'episodio depressivo si contraddistingue per la mancanza di forza e energia, la presenza di sensi di colpa, di inadeguatezza e autosvalutazione, una pervasiva visione pessimistica di sé e del mondo, la perdita d'interesse o di piacere in attività che di solito risultano gradevoli e che ora appaiono faticose ed insopportabili.
L'episodio maniacale, invece, si contraddistingue per il fatto che la persona è "su di giri", vive un'autostima esagerata con un'esperienza di grandiosità del proprio sé ed un eccessivo ottimismo, ha la tendenza a parlare molto più del solito, sperimenta un'esperienza soggettiva dove i pensieri si succedono rapidamente ed è fortemente distraibile nel senso che l'attenzione è facilmente deviata da stimoli esterni poco importanti o non pertinenti.
Nella fase maniacale la persona ha tutta una serie di progetti enormi, ma poco realistici, sente di avere dei talenti speciali, di essere destinata ad importanti successi, inizia molti progetti e non ne porta a termine nessuno e come conseguenza i comportamenti sono spesso disorganizzati e inconcludenti.
Inoltre, spesso nella fase maniacale la persona commette azioni e prende decisioni che possono avere conseguenze pericolose, in quanto ha pochi freni inibitori: per esempio può compiere spese esagerate superiori alle proprie possibilità, investire in affari sbagliati, licenziarsi dal lavoro in un momento di rabbia oppure entrare in relazione con altre persone con eccessiva superficialità pagandone poi, a volte, pesanti conseguenze.
Quali sono i fattori predisponenti a tale disturbo? Il disturbo bipolare è il risultato dell'interazione tra fattori genetici, ambientali e psicologici.
Relativamente ai fattori di rischio psicologici, svolgono un ruolo rilevante le emozioni associate ad eventi traumatici come: vuoti affettivi, difficoltà relazionali, perdite gravi, lutti, malattie e forti stress associati.
È importante per una persona che soffre di questo disturbo cercare un aiuto specialistico per non rimanere incastrata in questa esperienza di polarità estreme di “montagne russe emotive”.
Per quanto concerne gli aspetti psicologici, è essenziale elaborare e riparare ferite traumatiche avvenute nella propria storia di vita.
La motivazione è un processo vitale che spinge e sostiene la persona...
Ad agire per realizzarsi, per affrontare decisioni e per attuare dei cambiamenti.
È importante la differenza tra motivazione interna ed esterna.
Quella esterna è legata a ricompense, al non deludere aspettative ma è debole in quanto non sempre associata ai desideri della persona e quindi non ha continuità.
La motivazione interna invece fa la differenza ed è in grado di sostenere l’azione della persona con costanza e autodisciplina in quanto scaturisce da una scelta personale, libera e non influenzata dalle richieste esterne.
Non più tirati dall’esterno ci connettiamo con la spinta interna con quanto è importante per noi.
La metafora dell’uovo è molto efficace: “Se un uovo viene rotto da una forza esterna la vita finisce. Se viene rotto da una forza interna una vita inizia. Le grandi cose iniziano sempre da dentro.”
Accendi, risveglia e ascolta l’energia della tua motivazione interna che ti porta nella direzione giusta perché fa crescere la tua autonomia e ti assicura di essere autentico.
Quanto ci è accaduto nella nostra vita non possiamo cambiarlo, è vero, ma possiamo lavorare sui ricordi...
Sugli eventi negativi che ancora adesso, dopo tanto tempo, riescono a condizionarci provocandoci stati d'animo dolorosi, sentendo anche nel corpo delle sensazioni fisiche di disagio.
In psicoterapia è determinante lavorare sulle ferite emotive perché indicano che ci sono delle situazioni ancora aperte, con la conseguenza che della sofferenza emotiva è rimasta congelata nella nostra mente.
Molte delle difficoltà attuali sono collegate a quei ricordi non elaborati.
Questi blocchi si superano elaborando, con l'aiuto del terapeuta, le memorie di dolore.
C'è una grande differenza tra l'affermazione "il passato è passato" e "lasciare il passato nel passato", che significa non essere più sotto il sequestro emotivo dei ricordi negativi.
È importante entrare in contatto con quelle parti di noi che hanno sofferto, portandoci a costruire certe convinzioni negative che abbiamo su di noi ancora adesso.
Guarire il passato ci consente di vivere liberamente il presente per poter costruire il nostro futuro.
Chi soffre di un disturbo d’ansia generalizzata vive costantemente con una tensione elevata ed incontrollabile ...
Che tende ad essere presente per tutta la giornata, limitando fortemente la qualità della propria vita.
Anche le cose da affrontare nel quotidiano diventano dei pesi, o crea agitazione prendere quella decisione che è lì da tempo.
L'ansia alimenta una preoccupazione che si manifesta con un forte disagio fisico, emotivo e mentale: per lo più irrequietezza, irritabilità, una sensazione costante di stanchezza, difficoltà di concentrazione, tensione muscolare, disturbi del sonno, respiro corto e affannoso, nausea, disturbi gastro-intestinali, vertigini e molti altri disturbi fisici.
Nella persona che soffre di forte ansia, un imprevisto crea uno stato di difficoltà profondo, uno star male che si alimenta nel pensiero di non riuscire a risolvere l’inconveniente che si è presentato.
A livello emotivo, la persona vive con profondo dolore il non riuscire a vivere pienamente il presente: il non assaporare una propria passione, il non riuscire a fare certe scelte.
A questo dolore si accompagna la sensazione di profonda tristezza del pensare ai rimpianti che un giorno vivrà, riflettendo su quanto sprecato e non vissuto nel tempo presente.
Non lasciamo che l’ansia ci rovini la vita.
È importante trovare l'origine di questa sofferenza attuale, che spesso si collega a ferite emotive del passato.
Grazie alla terapia EMDR, queste ferite emotive possono essere guarite, ritrovando il proprio benessere e il desiderio di costruire, passo dopo passo, un futuro sereno.
All'interno di una relazione una persona decide di non parlare all'altro, in modo ostile, per punirlo...
Facendolo sentire sbagliato e in colpa.
Le conseguenze più negative ci sono quando questa modalità del silenzio punitivo viene attuata da un genitore nei confronti del figlio, che, non avendo strumenti di consapevolezza e possibilità di scelta, essendo un bambino, si convince di essere lui la causa della tensione che si è venuta a creare, sentendo dolore, confusione e pensandosi cattivo, non amabile e colpevole.
Questo ha delle conseguenze pesanti nella costruzione della propria identità, portando a insicurezza, poca autostima e mancanza di fiducia in se stesso.
A volte accade anche nelle coppie, dove un partner — tipicamente con una struttura di personalità narcisistica — attraverso il silenzio punitivo mantiene una posizione di potere, facendo sentire l'altro insicuro, sbagliato e in colpa, costringendolo a chiedere scusa senza sapere cosa ha fatto di sbagliato.
È importante elaborare queste ferite emotive per ritrovare il proprio benessere.
Per il nostro benessere è importante avere una buona armonia e uno sviluppo equilibrato sui livelli fondamentali che appartengono alla complessità umana.
Possiamo pensare che i livelli essenziali sono cinque: mentale, fisico, emotivo, relazionale e spirituale.
Un buon livello mentale esprime la capacità di prendere delle decisioni, di fare le nostre scelte… è essere presenti con responsabilità nella propria vita.
Questo ci permette di arginare quel flusso di pensieri incontrollati che portano solamente alla confusione e alla stagnazione esistenziale.
Il secondo livello riguarda il benessere del nostro corpo, ma attenzione: la salute fisica non significa assenza di malattia — condizione sicuramente indispensabile — ma è soprattutto sintonia e piacere per il proprio corpo. “Mens sana in corpore sano”.
Anche la dimensione emotiva è molto importante: per molto tempo le emozioni sono state poco o per niente valorizzate, più viste come segno di debolezza, come qualcosa da nascondere e non considerare.
Le emozioni, invece, contengono messaggi esistenziali importanti, quindi è essenziale avere una buona intimità con se stessi per poter capire bene cosa ci accade dentro.
La consapevolezza delle proprie emozioni è un elemento importante per una soddisfacente vita sociale fondata sulla condivisione e sul piacere di stare con gli altri.
Il livello relazionale riguarda proprio l’importanza di socializzare e comunicare con gli altri, che soddisfa un bisogno profondo presente in ognuno di noi.
Noi stiamo bene quando abbiamo relazioni che portano ad una sintonizzazione affettiva che permette, attraverso un processo di scambio, di elaborare e comprendere i nostri e altrui stati d’animo.
L’ultimo livello riguarda la dimensione spirituale intesa come ricerca che trascende il vivere terreno: è sentire se stessi come qualcosa che va oltre, è entrare in contatto con qualcosa che è più grande di noi.
Tutti e cinque questi aspetti descritti sono rilevanti per ognuno di noi, ma è importante che siano tra loro equilibrati: solamente così riusciamo ad esprimere tutto il nostro potenziale.
Cosa fare allora? Dobbiamo prenderci cura dei nostri pensieri, del nostro benessere fisico, del nostro mondo emotivo, della qualità delle nostre relazioni interpersonali e avere cura del nostro spirito.
È vero, questo richiede un impegnativo e importante “lavoro” su noi stessi, ma è l’unica strada per raggiungere una serenità… non esistono scorciatoie in una vita che scorre.
Avere una buona comunicazione è fondamentale per star bene con se stessi e con gli altri per avere delle buone relazioni: di coppia, nelle amicizie, nel lavoro e in tutte le altre...
Essere se stessi esprimendo la propria individualità accompagnati dalla consapevolezza di essere in rapporto con gli altri ci fa star bene… ma purtroppo non sempre è così. Nel relazionarsi con gli altri ognuno di noi adotta, principalmente, tre tipi di stili comunicazionali: passivo, aggressivo e assertivo.
L’obiettivo è guadagnarsi a tutti i costi la benevolenza degli altri.
Conseguenze per chi adotta lo stile passivo:
L’obiettivo è la conquista di potere sociale.
Conseguenze per chi adotta lo stile aggressivo:
L’obiettivo è il benessere per se stessi e per gli altri.
Conseguenze importanti per chi adotta lo stile assertivo:
Un racconto del filosofo Schopenhauer rappresenta bene le difficoltà e le opportunità che ci sono nei rapporti interpersonali:
“In una gelida serata invernale due porcospini decidono di riscaldarsi stringendosi il più possibile uno contro l'altro, ma si accorgono ben presto di pungersi con gli aculei. Allora si allontanano, tornando però a sentire freddo. Dopo tante faticose prove i due porcospini riescono a trovare la giusta posizione che permette loro di scaldarsi senza pungersi troppo.”
Ognuno di noi può a volte usare uno dei tre stili relazionali in base a contesti particolari o con persone specifiche… ma è importante che prendiamo consapevolezza di quale è la nostra modalità prevalente che adottiamo nell’entrare in relazione con gli altri, puntando a far sì che sia quella assertiva. Questo richiede, come inizio, osservare cosa succede dentro di noi quando siamo in relazione con gli altri. Affinare questo processo di consapevolezza sul come entrano in azione in noi certe convinzioni e schemi mentali è molto importante per la qualità della nostra vita interna e di relazione con gli altri.
Il nostro io profondo quando non riesce a fronteggiare le difficoltà della vita, attraverso delle azioni di cambiamento, usa per esprimersi un linguaggio arcaico ovvero quello dei sintomi.
Nella sua accezione etimologica la parola sin-tomo significa “accadere con” per cui come il medico di fronte al sintomo della febbre indaga per individuarne la causa lo psicoterapeuta deve chiedersi cosa c’è dietro al sintomo.
Il sintomo ha una doppia funzione: 1. permette al problema di esprimersi; 2. tenta di risolvere il problema.
Il sintomo fisico della febbre, ad esempio, è espressione che l’organismo è attaccato da un virus (prima funzione), alzando la temperatura corporea l’organismo cerca di uccidere i virus (seconda funzione).
Lo stesso a livello mentale: di fronte ad una situazione di conflitto se la persona non affronta la sofferenza, negando quindi il conflitto, si crea una situazione di sospensione che trova inevitabilmente altre strade.
Il conflitto è la compresenza di due forze contrarie: c’è qualcosa che vuole esprimersi e contemporaneamente c'è una forza che impedisce quell'espressione: ecco che il sintomo diventa il portavoce di tale situazione.
Nel funzionamento sano quando il sintomo ha compiuto la sua funzione di autoregolazione sparisce in modo spontaneo.
Il sintomo diventa disfunzionale quando la persona non può più farne a meno per esistere.
Il sintomo è la sintesi di due aspetti: un’intenzione e un comportamento.
Se si toglie solo il comportamento la persona è obbligata ad inventarne un altro che “riequilibria”, ma che spesso si rivela un comportamento ancora più patologico.
Nel lavorare con il sintomo lo psicoterapeuta deve esplorare la storia di vita della persona considerando che, aspetto molto importante, nel sintomo vi è il suo carattere relazionale, dice qualcosa a qualcuno, ha un destinatario: dice agli altri quello che la persona non riesce a dire esprimendosi liberamente.
Quindi diventa importante valutare il contesto relazionale ed emozionale del disagio, poiché ci dà molte informazioni su come la persona contatta o non contatta il mondo.
Spesso i problemi che la persona vive nel presente sono legati a traumi, al cercare di tenere lontani contenuti psichici inaccettabili, al tentare di bloccare emozioni al costo di far male al proprio corpo.
Per uscire dalle difficoltà il sintomo va esplorato… perché ciò che è imprigionato va liberato.
Se senti che c’è una parte che agisce dentro di te in maniera giudicante e critica che ti ostacola e ti ricorda, quando sei davanti a delle opportunità, che non ce la puoi fare perché non sei capace...
...che gli altri sono migliori di te, che non sei all'altezza, che non sei abbastanza ecco hai davanti a te: il critico interiore.
Il critico interiore si è formato come difesa a situazioni difficili che hai dovuto attraversare (i tanti devo, il non deludere le aspettative, le critiche ricevute) e con la sua presenza vorrebbe, con lo stesso motivo per cui ha iniziato tempo fa, farti evitare dolore e vergogna.
Il critico interiore è importante accoglierlo per esplorarlo perché si manifesta con ansia, paura, senso di colpa e incertezza, ma in realtà porta con sé delle ferite emotive profonde.
La sua azione è un grido di aiuto.
La psicoterapia ti permette di iniziare a prenderti cura dei tuoi bisogni e desideri, ad essere gentile con te stesso e questo ti porta a recuperare autostima, fiducia nelle tue capacità e sicurezza.
Per il tuo benessere è importante che diventi consapevole di come agisce quella voce interiore negativa che ti critica facendoti sentire inadeguato, insicuro, che non vai bene come sei.
Diventa essenziale, per star bene con te stesso, che finisca questo continuo conflitto interno che genera paure e insicurezze condizionando in modo pesante il tuo presente.
Questo critico interiore è legato alle esperienze negative del passato, alla paura di poter rivivere situazioni difficili, una specie di protezione che in realtà ti impedisce di vivere.
Cosa fare? Attraverso un percorso di psicoterapia guarisce le ferite ancora aperte legate ad eventi del passato e puoi iniziare a perdonati, ad interrompere la critica continua che sperimenti per ogni scelta e per ogni errore che fai arrivando a sentirti incapace, a ritrovarti a pensare che hai sempre fallito e che fallirai ancora con la conseguenza che rimani bloccato incapace di agire per il tuo bene.
Se pensi al passato riconosciti i risultati e i traguardi raggiunti e soprattutto di essere riuscito ad attraversare tanti momenti e molte situazioni difficili nella tua vita e poi molto importante è che inizi, da adesso, a coltivare l’abitudine a parlarti interiormente in modo positivo smettendo di avvelenare la tua mente con pensieri negativi.
Spesso siamo noi i peggiori critici di noi stessi.
Inizia ad amare te stesso e questo ti aprirà ad un modo nuovo di stare in relazione con te stesso e con gli altri rispettando e facendoti rispettare.
Smettere di criticarti ti porterà a scoprire e ad entrare in contatto con qualità e aspetti di te unici, caratteristici, speciali che ti faranno sentire la tua forza e ti permetteranno di prendere, finalmente, in mano la tua vita.
Inizia da oggi ad essere gentile con te stesso quando commetti degli errori... comincia ad essere meno critico, smetti di essere il tuo peggior nemico.
Tachicardia, sudorazione, brividi o vampate di calore, fame d'aria, sensazione di soffocamento, tremori, senso di sbandamento di svenimento...
...derealizzazione (sensazione di irrealtà) o depersonalizzazione (essere distaccati da se stessi), paura di perdere il controllo o di impazzire, paura di avere un grave malore o di morire.
Chi ha vissuto un attacco di panico ha sperimentato alcuni di questi sintomi fisici e mentali.
L'attacco di panico è un evento terribile durante il quale il soggetto vive un’esperienza intensa, terrorizzante e traumatica di disagio non controllabile accompagnata da una serie di sintomi.
Il disturbo di attacchi di panico lascia un ricordo terribile di quei momenti e segna dentro la persona che poi vive nella paura che possa ricapitare… vive sempre in allerta.
È la “paura della paura” che si ripeta ancora tale episodio acuto e allora si chiude in una gabbia mentale… la persona si sente senza scampo, senza una via d’uscita.
Vediamo alcune esperienze:
"Ero in un centro commerciale quando all’improvviso ho realizzato di essere lontano da casa mia, di colpo ho sentito che mi mancava la terra sotto i piedi, la testa si è svuotata, non riuscivo più a respirare e ho avuto il terrore che stavo per morire".
"Mentre parlavo tranquillamente con alcuni amici improvvisamente ho sentito come un ‘click’ in me e mi sono sentito fuori dalla situazione, ho visto tutto dall’esterno: una vertigine mi ha preso ed ho avuto molta paura".
"Stavo andando al lavoro, ero in auto, mi sono fermato in coda al semaforo, sembrava tutto normale, quando invece mi è salita una forte ansia, mi sono sentito intrappolato, senza via di fuga, di colpo è salita una vampata di calore che mi ha stretto la gola, mi sono sentito soffocare, ho avuto una paura terribile di morire".
La persona che soffre di attacchi di panico sviluppa un’ansia anticipatoria che la porta ad evitare il più possibile situazioni che ritiene pericolose, cerca sempre di avere qualcuno con sé ma questo lo intrappola sempre di più, lo limita sempre di più con forti conseguenze sulla qualità della propria vita.
Cosa fare?
L’agire esterno è limitato e angosciante, ma dentro c’è tutto un mondo di energie, di emozioni che vogliono esprimersi.
Ricorda che se soffri di attacchi di panico le motivazioni sottostanti vanno approfondite, la forte ansia va ascoltata e capita: questo ti permette di contattare parti di te inascoltate, di cogliere le tue istanze e i tuoi desideri.
Ti offre la possibilità di poter liberarti da schemi mentali che ti stanno tenendo in una trappola, e questo è fondamentale per la tua crescita personale, per fare dei cambiamenti, per non essere più alienato da te stesso, per dare spazio alla tua parte autentica di esprimersi… di vivere.
La gelosia un sentimento complesso: esiste una gelosia sana? Cosa può far accadere nella relazione di coppia una gelosia ossessiva?
La gelosia, all’interno di una relazione di coppia, è quel sentimento che ci fa provare il timore, reale o immaginato, di perdere una persona importante a cui siamo legati, di perdere il suo amore.
La gelosia è un sentimento che conosciamo fin dalla prima infanzia e che abbiamo provato tutti nella nostra vita e, come tutte le emozioni umane, ha una possibile gamma di intensità, una gradualità che va da una presenza ridotta ad un pensiero centrale e continuo.
Uno dei tanti modi in uso per descrivere la gelosia è definirla “il sale dell’amore”, ma proprio su questa frase poniamo attenzione: una pietanza senza sale, indubbiamente, non è gustosa, è insipida, ma un alimento dove c’è una quantità enorme di sale diventa immangiabile.
Approfondiamo la differenza tra una gelosia sana e una gelosia patologica.
In una coppia la gelosia sana è un sentimento naturale e fisiologico che fa sentire l’altro importante, che si è interessati a lui ed è quindi un ingrediente utile ad una buona relazione.
Diversamente, la gelosia patologica danneggia la relazione provocando molta sofferenza all’interno della coppia.
Il geloso fa vivere sempre sotto pressione il partner con un’aggressività persecutoria e vive lui stesso malissimo per la presenza costante ed ossessiva nella sua mente del pensiero fisso e delirante che il proprio partner lo possa tradire o abbandonare.
Il delirio che alimenta questo stato d’animo lo porta a ricercare in continuazione prove che non esistono, ad interpretare la realtà solo in un certo modo, e questa distorsione del pensiero lo fa arrivare a conclusioni irrazionali ed inconcepibili.
Una delle modalità che caratterizzano il geloso ossessivo è quella di sottoporre il partner a continue domande, con la speranza che si contraddica per avere quindi conferma delle proprie idee e paure.
Tutto questo lavorio mentale fa sorgere conseguenti emozioni e comportamenti negativi che nel geloso possono manifestarsi attraverso la rabbia, la vendetta, la negazione delle emozioni che vive, l’allontanarsi dal partner o un ripiegamento su se stesso.
Questa gelosia ossessiva e negativa diventa una vera e propria malattia che può portare a comportamenti ed esiti tragici, come ci ricordano i frequenti casi di cronaca (dalle denunce, al suicidio e agli omicidi).
Le cause di una gelosia malata sono in gran parte riconducibili a ferite emotive vissute nelle prime relazioni di attaccamento, ad una poca autostima, ad una svalutazione di se stesso con la conseguente rappresentazione mentale del sentirsi non amabile, del sentirsi di non essere degno e meritevole di essere amato e quindi alla paura di perdere la persona che adesso c’è nella sua vita.
È importante per una persona gelosa che vive un sentimento di gelosia morboso ed ossessivo fare un percorso di psicoterapia per uscire dalla gabbia mentale in cui si trova: per se stesso e per il proprio partner.
Nell'antica Grecia c'erano due concetti con cui ci si riferiva al tempo: chronos e kairòs.
Chronos è il tempo che scorre, il tempo dell'orologio, che ci scivola addosso, il tempo che passa e temporizza gli eventi. E c’è il kairòs che è un tempo che noi possiamo vivere con presenza, a pieno, è il tempo giusto, il tempo opportuno, il tempo non vuoto e prezioso, i momenti sereni. Importante tenere a mente questa differenza tra la quantità del tempo "chronos" e la qualità del tempo "kairòs".
Metti attenzione al tuo KAIRÒS.
Se nel prendere una decisione rinviamo, posticipiamo continuamente e prendiamo sempre tempo...
Tanto tempo come se dovessimo aspettare una situazione ideale rimanendo dubbiosi sull’agire, rimanendo bloccati in attesa che si creino le condizioni perfette.
Questa è la paralisi da analisi.
Per chi si trova dentro a questa situazione è importante prendere consapevolezza delle cause sottostanti alla propria paralisi da analisi.
Ad esempio, per alcuni è il cercare in continuazione informazioni perché non sono mai abbastanza, per altri vi è la tendenza ad un perfezionismo esasperato, per alcuni il percepire un senso di inadeguatezza o una paura che si portano dentro per esperienze passate.
È un meccanismo che, se ci assorbe completamente, ci fa stare bloccati incapaci di prendere una decisione, non ci permette di compiere il primo passo e di conseguenza si rimane fermi, immobili.
Se aspettiamo la condizione perfetta non partiremo mai: ci sarà sempre qualcosa che non è come vorremmo o ci sarà sempre qualcuno a metterci dubbi.
Non ascoltiamo quella voce critica che ci ostacola e ci blocca.
Nel prendere una decisione una valutazione va sempre fatta, ma dopo aver analizzato quel progetto a cui pensiamo da tempo o quella decisione da prendere c’è un punto che si deve agire, altrimenti entriamo nel meccanismo analisi–paralisi e intanto la vita scorre via!
Molte ricerche evidenziano che una grande percentuale di persone non si piacciono fisicamente...
... le pressioni sociali alimentano continuamente un'idea di perfezione e bellezza, sicuramente ingannevoli, che possono alimentare il "non piacersi".
Ma solamente la spinta che la società compie su tutti noi non spiega il patimento vissuto dalle persone che soffrono del disturbo di dismorfismo corporeo, meglio conosciuto come dismorfofobia.
Il termine dismorfofobia deriva dal greco dis-morphè (forma distorta) e phobos (timore) ed identifica la presenza di una forte difficoltà psicologica ed esistenziale sperimentata da una persona che si esplicita, principalmente, nei seguenti due aspetti:
1. Elevata preoccupazione per un supposto difetto nell'aspetto fisico (ad es. l'altezza, la forma di qualche parte del viso come il naso o la bocca, la massa muscolare o altro) o, quando è presente una piccola anomalia, l’importanza attribuita dalla persona è sproporzionata ed eccessiva.
2. La preoccupazione per il proprio aspetto fisico causa un disagio clinicamente significativo oppure provoca difficoltà nel funzionamento sociale, lavorativo, scolastico.
Per chi soffre di questo problema la vita è un tormento, in quanto la sua mente è continuamente centrata sul proprio aspetto esteriore o meglio su alcune caratteristiche del proprio corpo che il soggetto non accetta.
Lo stress emotivo che ne consegue porta ad un forte e pesante condizionamento nella vita della persona che, per evitare al massimo il disagio, attua un lento ma progressivo ritiro dal mondo per andare sempre più verso un isolamento sociale.
In genere la persona desidera intimamente di rapportarsi con gli altri per condividere e costruire delle relazioni importanti, ma la propria attività mentale concentrata sul pensare ai propri difetti lo assorbe togliendogli un sacco di energie, non permettendogli di avere la presenza mentale necessaria nei vari contesti del vivere.
La psicoterapia, attraverso l’esplorazione profonda dei pensieri e delle emozioni, è molto efficace nel trattamento di questo disturbo.
L’ansia di malattia è un disturbo psicologico legato ad un’eccessiva e infondata preoccupazione che la persona ha sulle proprie condizioni di salute...
Che la fa vivere dentro ad una forte e persistente ansia.
Chi soffre di ipocondria ha una continua attenzione al corpo, ne ascolta le sensazioni e un qualsiasi dolore diventa un campanello d’allarme perché viene subito interpretato come un segnale di una malattia grave: i sintomi vengono distorti, amplificati, sproporzionati.
La persona che soffre di questa forma di ansia di malattia per la propria salute finisce dentro ad una spirale di paura e angoscia rispetto alla possibilità di avere una qualche patologia incurabile che la può portare anche alla morte.
Ecco che, pensando ad un conoscente, ad un collega di lavoro o ad un familiare che ha avuto o ha una grave malattia, si convince in modo sempre più insistente che potrebbe avere quella patologia… di conseguenza dei dolori muscolari vengono ricondotti ad una malattia degenerativa, un formicolio ad una grossa problematica neurologica, dei sintomi ad un tumore, ecc.
Da questa condizione parte la ricerca delle cause: la persona inizia a documentarsi e informarsi in modo continuo riguardo al problema che pensa di avere, ma non cerca i sintomi che ha, bensì direttamente la malattia che pensa di avere — e qui scatta la psico-trappola.
Infatti ogni grave malattia, nella descrizione dei vari sintomi, ne ha certi che sono comuni a patologie meno gravi (ad esempio: dolori muscolari frequenti, cefalea, coliche) e quindi si riconosce in tutta una serie di sintomi, convincendosi sempre di più di essere affetta da una grave malattia e arrivando ad una auto-diagnosi.
A quel punto i sintomi che la persona prova aumentano di intensità, ma soprattutto si “adattano” a quanto trovato nelle descrizioni della malattia che si è convinta di avere.
La persona, arrivata a questo punto, passa sempre più tempo in una ricerca che si fa sempre più ossessiva… e sappiamo bene che "trovi quello che vuoi trovare".
Poi inizia la sequenza di esami e visite specialistiche volte alla conferma della malattia e, quando gli esiti evidenziano una buona condizione fisica, non si convince e ne fa altri ancora, persuasa com’è che la malattia c’è e che quindi gli specialisti non avendo svolto un buon lavoro non se ne sono accorti.
Oppure pensa a quel punto di avere un altro tipo di grave patologia e quindi ripartono ancora esami su esami, accertamenti su accertamenti, visite specialistiche che non bastano mai, impegnando soldi, tempo e coinvolgendo i familiari in questa affannata ricerca.
Questa ricerca non viene interrotta dalle buone evidenze diagnostiche e dalle rassicurazioni mediche, che non riescono a smuovere la persona dalle proprie convinzioni.
Insomma, tutte le azioni e le strategie che l’ipocondriaco mette in atto lo portano ad ingabbiarsi sempre di più.
Cosa fare?
In alcuni, l’ipocondria si è affermata a seguito di un momento critico che la persona stava vivendo o in relazione ad un evento che ha colpito una persona vicina, come la diagnosi di una grave malattia o la morte di una persona cara.
Diventa importante, per superare questo disagio, far emergere l’ansia sottostante che alimenta tale disturbo, consapevolizzare quali sono le cause reali sottostanti al disturbo che adesso si è affermato.
A volte l’ipocondria è collegata ad una situazione passiva che la persona è arrivata ad avere rispetto alla vita e che la porta a giustificare, attraverso presunte malattie, la sua condizione attuale che in realtà vorrebbe cambiare.
La persona vive sospesa, bloccando tutta l’energia all’interno, e questo la rende fragile, vulnerabile e crea il terreno fertile per un disturbo pesante come l’ipocondria.
Burnout si può tradurre come “bruciato”, “scoppiato”, “esaurito”. Chi sperimenta questa sindrome vive una condizione lavorativa e personale molto difficile e pesante...
... che lo porta attraverso un continuo esaurimento delle proprie risorse psico-fisiche ad uno ”scoppio emotivo”.
Questa problematica è in aumento e in allargamento a molte categorie professionali dove vi è un carico lavorativo gravoso e/o un continuo contatto con il pubblico.
Il Burnout è una sindrome da stress traumatico professionale caratterizzata da tre dimensioni: l’esaurimento emotivo, la depersonalizzazione e una ridotta realizzazione personale.
1. Esaurimento emotivo: la persona sente di essere in forte difficoltà, percepisce di avere poca energia, si sente svuotata e senza possibilità di poter recuperare… questo la porta a sentire una forte percezione di rischio individuale, sia di tipo emotivo che fisico, vivendo di conseguenza una condizione professionale e personale estremamente pesante che la può portare ad un atteggiamento negativo non solo verso il lavoro ma verso la vita.
2. Depersonalizzazione: la persona mette in atto un meccanismo mentale di difesa, nel proprio posto di lavoro, che la porta ad avere un progressivo atteggiamento freddo e distaccato nei confronti delle persone che usufruiscono del servizio.
3. Scarsa realizzazione personale: la persona tende a valutarsi in modo negativo soprattutto per quanto attiene al proprio lavoro, si sente scontenta di se stessa, inadeguata, senza entusiasmo, perdendo fiducia nelle proprie capacità.
Le cause dell’affermarsi della sindrome del burnout possono essere viste in due dimensioni: quella personale e quella dell’ambiente di lavoro.
A livello personale entrano in gioco come fattori importanti la struttura della personalità, la capacità di contenimento delle situazioni stressanti e la regolazione emotiva.
Relativamente all’ambiente di lavoro gioca un ruolo importante l’organizzazione lavorativa: in certi ambienti vi è un sovraccarico lavorativo eccessivo protratto nel tempo, poca chiarezza delle mansioni da svolgere (forte ambiguità di ruolo), il trovarsi di fronte a situazioni per le quali non è stato adeguatamente formato e preparato e al contempo però deve prendere a volte delle decisioni, caricandosi di conseguenza di un forte stress emotivo e fisico.
Spesso vi è uno scarso riconoscimento del merito individuale, unito a volte ad un trattamento che crea differenze dovute alla non presenza di imparzialità e giustizia.
Le conseguenze del burnout hanno vari livelli di gravità che possono portare a ricadute molto pesanti sulla qualità della vita della persona, non solo lavorativa ma anche personale: a livello psicologico, fisico e relazionale.
A livello psicologico: la persona convive con un’ansia continua, spesso ha sbalzi dell’umore, depressione, rabbia, forte irritabilità, apatia, difficoltà ad affrontare la giornata, sensi di colpa e un calo continuo della propria autostima.
A livello fisico: vive una condizione di forte stanchezza, presenza di disturbi fisici risultato della somatizzazione della forte condizione di stress negativo (cefalee, nausea, irrigidimento muscolare, sintomi respiratori, disturbi del sonno, tachicardia, disturbi gastro-intestinali e altri disturbi).
A livello relazionale: difficoltà sia con i colleghi, con i superiori e con i clienti… la persona si sente spenta e sfiduciata, tende a isolarsi e a comunicare il meno possibile fino a rinunciare.
Per contenere il peggioramento della qualità sia della condizione personale e professionale del lavoratore sia della qualità del servizio erogato, è importante agire su due fronti: personale e organizzativo.
Per quanto concerne l’ambiente di lavoro è centrale una organizzazione aziendale che dia chiarezza sui compiti da svolgere, non crei emarginazioni, favorisca una buona comunicazione nel gruppo di lavoro — sia orizzontale tra colleghi che verticale con i responsabili — e promuova una formazione adeguata del personale.
Queste azioni riducono in modo consistente i fattori di rischio personali e le condizioni negative dell’ambiente di lavoro che sono causa della sindrome del burnout.
Individualmente la persona che avverte i sintomi della sindrome del burnout (esaurimento emotivo, depersonalizzazione e scarsa realizzazione personale) è importante che chieda aiuto ad uno psicoterapeuta per lavorare sul disagio che vive, sulla propria consapevolezza per non essere risucchiato in continue situazioni dove non riesce a mettere confini, per comprendere le relazioni esistenti tra le proprie emozioni e le condizioni dell’ambiente lavorativo, per acquisire strumenti per la gestione dello stress.
Questo permette di non continuare ad assorbire e accumulare condizioni che portano ad uno scoppio emotivo con conseguente stato di esaurimento psico-fisico ed emozionale.
La meditazione è una pratica antichissima molto conosciuta e diffusa in oriente che nel corso degli ultimi decenni è stata integrata nell’ambito della psicoterapia in occidente...
... la meditazione è fondamentalmente padronanza dell’attenzione: è percepire quello che ci passa per la mente attimo dopo attimo, un atto di raccoglimento che consente di migliorare la comprensione di sé portando ad un miglior baricentro emotivo e a un conseguente benessere psicofisico.
Grazie alla meditazione possiamo prendere conoscenza della nostra vera natura, aiutandola ad esprimersi e attivando di conseguenza qualità, talenti e risorse presenti in noi stessi che avevamo dimenticato o non sapevamo di avere.
Attraverso la meditazione possiamo oltrepassare le solite sovrastrutture mentali, spesso causa di sofferenza emotiva, per arrivare alla comprensione della nostra parte più autentica. Una maggiore consapevolezza della nostra realtà interna permette di ripulirci da atteggiamenti mentali e comportamentali limitanti e non utili, che ci privano della possibilità di scegliere alternative di comportamento e di azione.
Meditare significa quindi vedersi in modo nuovo, scoprendo altre possibilità rispetto ai soliti schemi mentali che spesso si dimostrano disfunzionali e ci ostacolano nella nostra espressione.
Particolarmente, la meditazione offre la possibilità di interrompere il pensiero confuso e incontrollato che ci blocca. Illuminante la sintesi di Jon Kabat-Zinn:
“È stupefacente quanto sia liberatorio l’essere capaci di vedere che i tuoi pensieri sono solo pensieri e che non sono te stesso o la realtà… il semplice atto di riconoscere i tuoi pensieri come pensieri può renderti libero dalla realtà distorta che essi spesso creano e genera un maggior senso di chiarezza e di padronanza sulla tua vita.”
Per molti disturbi psicologici, la meditazione di consapevolezza o mindfulness è estremamente utile, in quanto fa emergere, in tutta la loro presenza nociva, quelle continue ruminazioni mentali che alimentano il disagio.
La mindfulness consiste nel prestare attenzione intenzionalmente alla nostra esperienza così com’è, e non come riteniamo o vogliamo che sia. Tre sono i punti fondamentali che la caratterizzano:
L’attenzione partecipe e non critica consente una conoscenza piena della propria esperienza personale nel “qui e ora”, cogliendo l’enorme quantità di automatismi e pensieri disfunzionali che determinano inevitabilmente comportamenti poco adeguati e lontani dai nostri veri desideri.
Un altro tipo di meditazione è quella riflessiva, che permette di indagare un’idea concentrando l’attenzione su un pensiero preciso. Se, in un particolare momento della nostra vita, abbiamo bisogno ad esempio di coraggio per fare delle scelte importanti, possiamo metterci in un luogo tranquillo, prenderci un tempo adeguato e riflettere su di esso: ricordare momenti in cui siamo stati coraggiosi, pensare a persone che lo incarnano, esplorare la natura del coraggio e i blocchi che lo ostacolano.
Quando percepiamo che la mente va altrove, la riportiamo con calma sulla qualità scelta e continuiamo a stare con quanto accade dentro di noi. Questa meditazione riflessiva spesso, grazie a un’elaborazione psichica inconscia, ci porta nei giorni seguenti a intuizioni importanti e nuovi comportamenti utili per concretizzare cambiamenti desiderati da tempo.
La pratica della meditazione, migliorando il rapporto con noi stessi attraverso lo scioglimento delle tensioni e della confusione, aumenta la nostra capacità di fronteggiare le situazioni difficili che la vita inevitabilmente ci pone davanti.
Le emozioni hanno un ruolo e un compito molto importante nella nostra vita, vanno ascoltate e non represse...
... ascoltatele perché ci danno un’informazione importante su come stiamo vivendo quella situazione.
Il termine emozione deriva dal latino e-movere (“muovere da”): l’emozione la possiamo vedere come un’onda che porta energia alla consapevolezza per far sì che cambiamo qualcosa.
Quindi, ad esempio, la paura, l’ansia, la rabbia o la tristezza non dobbiamo sopprimerle, ma accoglierle per recepire le indicazioni che ci vogliono dare. Le emozioni ci portano messaggi importanti dal nostro vero io, quello autentico, per far sì che modifichiamo qualcosa... per poter scegliere nel modo più giusto per noi.
Le emozioni sono una bussola importante del nostro mondo interiore: se non le ascoltiamo, togliamo energia al nostro presente.
Se invece di accogliere le nostre emozioni le blocchiamo, le rifiutiamo, le evitiamo o le accantoniamo, accade una ricerca di compensazione sbagliata attraverso comportamenti disfunzionali per cercare di anestetizzarle, creandoci inevitabilmente dei problemi in più.
Se non riusciamo a lasciarci andare alle emozioni e a viverle, è perché ci sono dei blocchi, delle resistenze: sono difese che una parte di noi ferita ha costruito per proteggersi da emozioni che non può concedersi di sentire e di esprimere.
Con questa metafora, della spugna emotiva, ci si riferisce alle persone che si fanno carico delle emozioni degli altri arrivando a dimenticare se stessi.
Hanno un radar sensibilissimo che li porta a percepire gli stati d'animo degli altri: vedono una tristezza dietro a un sorriso e, tra le righe, sentono anche ciò che l'altro non dice.
È una grande sensibilità, ma che può diventare fonte di difficoltà se non vi è un confine emotivo solido.
Se ti riconosci in questo, ricorda che non puoi assorbire tutto: è importante che tu protegga il tuo spazio emotivo, restando in contatto con i tuoi desideri e con le tue emozioni.
Invece di essere una spugna, diventa un filtro. Questo non significa diventare insensibili o poco empatici, ma scegliere con consapevolezza di quali emozioni e pensieri farti carico e quali invece lasciare andare, facendoli scivolare via.
Ritrovare la propria creatività significa migliorare la qualità della propria vita e per uno psicoterapeuta è fare in modo che nel corso della psicoterapia questo accada alle persone.
La predisposizione ai disturbi del comportamento alimentare in una popolazione veneta potenzialmente a rischio.
Al personale che opera nei servizi socio-sanitari viene spesso richiesto un intenso coinvolgimento con i pazienti. Lo stress che sperimentano può condurre alla sindrome del Burnout.
Un’oppressione, psicologica o fisica, ripetuta e continuata nel tempo perpetuata da una persona (bullo) o da un gruppo di persone più potente nei confronti di una persona percepita più debole (vittima).
Vai alla pagina e compila il form di contatto per prenotare un appuntamento.
ContattamiResta aggiornato con contenuti, consigli e risorse utili per il tuo benessere psicologico.
Seguimi su Facebook Seguimi su Instagram